giovedì 28 agosto 2008

Non sono morto

Sono morto? Sono morto?
Sono vivo! Sono vivo!
Qui l’uomo dai lunghi capelli
Ha persuaso il Sole
E l'ha convinto a splendere nuovamente
Un passo avanti, un altro passo
Un passo avanti, un altro ancora
Il sole splende!

Haka Ka Mate

Rieccomi qui, l’amico di pixel che invece di raccontarti cos’ha fatto ieri sera ti racconta come si sente ogni giorno. Non sono morto e non ti ho appeso, non bollarmi come desaparecido perché ci sono e vorrei esserci più di quanto non ci riesca. Non voglio menartela con le circostanze che mi hanno trattenuto dallo scrivere in questi due mesi volati, ma anche se non voglio parlarti qui delle mie occupazioni mondane penso che a questo punto qualche spiegazione te la debba. Allo scopo ti dedicherò l’ennesima notte in bianco, quando ho cominciato a scrivere su questo blog non pensavo che il mantenerlo vivo si sarebbe rivelata un’occupazione notturna clandestina, sottratta al normale scorrimento delle giornate e delle ore (ma tant’è: di recente mi è capitato di leggere la riflessione di un’importante scrittore contemporaneo, secondo cui lo scrivere di sé è difficile, ma finisce per diventare un’atto vizioso, inconfessabile… eppure sempre meno rinunciabile. Scrivere di sé è masturbazione).
Domani riparto, mi concederò l’ultimo weekend di mare nel mio amatissimo Cilento, dove mi sono rintanato per il mese di agosto, prima di dover tornare sul serio a casa, senza cazzeggio per un altro annetto almeno. Qualche giorno fa ero lì, ma ho anticipato il rientro in una sorta di perversa partenza intelligente: in spiaggia l’idea della grande città deserta aveva alimentato romantiche ispirazioni di fruttuoso raccoglimento. Così sono salito su un treno e ho fatto stoicamente ritorno a casa. E naturalmente alla fine la città si è rivelata essere troppo deserta per fare qualsiasi cosa che non fosse abbrutirsi. Non ho cavato alcunché di buono da questi quattro giorni di alienazione, e quindi eccomi qui a cercare di ottenere almeno un’unica buona azione smentendo il diffuso sentore di una mia morte sul web, anche se in extremis e in orario eterodosso (e non voglio pensare a quale sarà il mio stato quando di qui a due ore dovrò rimettermi in viaggio).
Dicevo, cos’ho fatto quest’estate? Andiamo per gradi, mio carissimo, dall’ultima volta che ho lasciato qualcosa di scritto qui ne ho passate abbastanza, ma soprattutto ho trascorso un luglio a farmi, se mi si farà passare l’espressione, un discreto culo e un agosto ad adagiare debitamente il suddetto culo nell’acqua. E capirai bene si crea un problema, per così dire, di differenza di tensione nella narrazione, che mi impedisce di raccontarti questi due mesi senza la dovuta distinzione. Anzi, visto che la mia vacanza non è ancora finita mi comporterò come se non fosse nemmeno iniziata e non te ne parlerò, almeno per il momento. E dopotutto fino al fatidico lunedì primo settembre può succedere ancora qualsiai cosa, a mettere l’intera faccenda sotto una luce diversa: se ne riparlerà dunque allora.
Benissimo, allora come me la sono passata fino alla mia partenza per le assolate spiagge, per essere tanto impegnato da non trovare nemmeno il tempo di buttare giù queste righe che mi trovo costretto ad espiare adesso? Dirò solo che in quel periodo ho soprattutto lavorato, mangiato, dormito. Ho fatto un po’ di sano lavoro fisico. Non ho fottutamente sprecato il mio tempo ma ho sperimentato ritmi nuovi, non ho viaggiato ma mi sono mosso molto sul posto e mi sono incallito un po’. La mia mente ha sconfinato di un altro passo e la mia attenzione è stata catturata da sensazioni sconosciute (ma non per questo ho smesso di pensarti).
C’è dell’altro, ovviamente. Ho sognato, a occhi aperti e a occhi chiusi, ma soprattutto a occhi chiusi (sui sogni ad occhi aperti recupererò in seguito). Nei momenti di maggiore stress ho sognato, con molta nostalgia, la commovente amaca di un amico presso la cui meravigliosa casa ischitana mi capitò di essere ospite. Altri di questi sogni hanno poi preso una piega così surreale che mi sono tranquillizzato, e sto cercando di ricostruirmeli con tutta calma scrivendomeli. Forse un giorno te ne parlerò ma questa è un’altra storia.
Ho conosciuto anche un po’ di persone nuove e sono tutti a posto. Forse passeranno anche di qui, non so. Più che altro spero che possano ripassare dalla mia vita, perché le storie di ognuno di noi sono imprevedibili, e un amico non lo trovi dietro ad ogni angolo di strada.
Ti è mai capitato di vedere i Maori della Nuova Zelanda ballare e cantare la Haka? I giocatori di rugby la eseguono prima di ogni partita, e in quel campo è diventato in pratica un marchio immediatamente riconoscibile e di successo in tutto il mondo. Sarà per questo che si è diffusa la convinzione che si tratti di una danza di guerra. Sbagliato. Almeno nella sua forma tradizionale, la Ka Mate, è un canto di gioia. Celebra la vita senza riserve, anche nei momenti duri. Per questo il tono è di sfida. Non è meraviglioso pensare che fin quando siamo vivi, e cazzuti, ogni genere di avventura sorprendente e bellissima può accadere?
Mi sei mancato.





Pearl Jam - Alive