sabato 7 giugno 2008

Glasnost

Sono abbastanza giovane da essere entrato a scuola in un momento in cui ormai gli adulti si rendevano conto di avere a che fare con una generazione di cuccioli di pubblicità. Io e i miei coetanei stavamo venendo su a merendine e consigli per gli acquisti; e in certe classi che ho frequentato si respirava più arroganza e più razzismo che in una caserma della polizia boera. Non fraintendermi: non ho la presunzione di ritenere che bullismo, conformismo e conseguente discriminazione siano un male di questi giorni. Posso sostenere con sufficiente sicurezza che prepotenti e fighetti affliggono la persona umana da quando la società si è evoluta dallo stadio di banda; cinquemila anni fa a lezione dallo scriba Sekhtefnut fregava al mite Amenhotep la ricotta di papiro della merenda e in tempi più recenti Favonius gettava fango di strada a Mecilius, figlio di liberto...
Credo però di poterti dire (buttandola giù molto semplice) che la mia generazione sia stata presa di mira dal marketing a livelli davvero più intensivi delle precedenti; e che forse sia stata la prima ad aver sperimentato le reazioni (vuoi di protezione, vuoi di acquiescenza) da parte degli adulti attorno a noi, dalle famiglie e dall'educazione istituzionale. C'è un ricordo, in particolare, che mi ha dolcemente condotto sui binari di questo discorso spinoso, che anche adesso reputerei più consono ad un servizio fintamente moraleggiante alla Studio Aperto che al blog di un ventunenne. Doveva essere la seconda, terza media, e uno di questi maestri di vita di professione un giorno stette effettivamente a spiegarcelo, che c'era l'Essere e c'era l'Apparire, e che erano due cose distinte; che nelle nostre vite sentivamo da ogni parte impulsi a vivere come un gregge di pecore, e questo era conformismo ed era da idioti. Noi annuivamo illuminati, tutti. A guisa di bestiame. Nove, su dieci di noi, accoglievano a gran voce propositi e dichiarazioni di indipendenza e tolleranza e si comportavano all'esatto opposto.
Ovviamente.
Sia chiaro che non è mia intenzione puntare ditoni accusatori né tirarti un pippone morale, ma di riflettere su di un proposito (Studio Aperto lo definirebbe un valore, è per che questo io lo introduco come proposito) per me importante, spesso protagonista delle mie crisi di coscienza, e che a volte riesco persino a mantenere. Parlo di trasparenza, che per me significa qualcosa di simile al buon vecchio sii-te-stesso (quello che nei film americani finisce per farti risolvere i problemi relazionali e rimorchiare la squinzia. Considerazione di vita vissuta: non è vero). Ma anche più profondo. Che fino a nuova risoluzione reputo uno dei migliori antidoti in circolazione all'omologazione che vedo in atto nei miei simili, quel conformismo che Freud chiamava "la miseria psicologica della massa", che se non altro ha l'indubbio svantaggio di trasformarci in pallide imitazioni di perfetti idioti (avvertenza per inciso: se non riconosci tale omologazione in atto, puoi anche smettere di leggere. Tanto non voglio provare a convincerti del contrario. Almeno adesso).
Voglio essere una persona trasparente; e questo non significa solare ed estroversa, perché nel mio caso prendo atto di essere il più delle volte il contrario. Ma voglio essere onesto e rispettoso con gli altri (dopo esserlo stato con me stesso, si spera), senza prenderli per il culo con atteggiamenti che non mi appartengono: sono una persona vera, quindi mi piacerebbe anche comportarmi di conseguenza. Al di là di tutte quelle piccole falsità che sparo ogni giorno, il criticismo disilluso e il suo contrario, la mansueta condiscendenza, e quella faccia da duro che mia madre (santa donna!) chiama "la mia espressione alla Clint Eastwood", che mi viene quando se fossi trasparente ostenterei un'ansia alla Woody Allen. E di qualche concessione alla bieca immagine (lo so, lo so, giacca di pelle e moto custom servono a gettarti fumo negli occhi. Ma almeno me li sono scelti facendo appello a tutte le mie facoltà critiche. Il look è importante, le mode sono una grande cazzata).
La felicità è data dalla libertà e la libertà è data dal coraggio. Questa riflessione (è di Pericle, amico mio, mica di Buttiglione) mi segue da anni, fedele come un cane e scomoda come una spina nel piede. Sì, perché ci vuole un fegato non da poco per riuscire ad affrontare se stessi ed uscirne consapevoli, perché in ognuno di noi si celano ombre che ci mettono imbarazzo, rimorso, paura; ma è necessario perché i pericoli che attentano alla nostra realizzazione si nascondono più dentro di noi che nelle congiunture economiche, nei governi e nell'immigrazione clandestina. Una volta raggiunto un equilibrio tra noi e il nostro mondo interiore dovremmo però sapere aprirci gli altri, rendendoli partecipi della nostra libertà. Con orgoglio, ma senza sprezzo dell'altro, dato che già che c'eravamo avremmo potuto anche imparare un po' di umiltà. E non saremmo più gregge, ma persone, perché ognuno di noi ha la sua storia, i suoi tesori, i suoi abissi (Siamo una cosa sola, baby... ma non siamo la stessa cosa). Questo intendo per trasparenza e so che non ne saremo tutti sempre all'altezza, il sottoscritto in testa. Perché la trasparenza si nutre di coraggio, dal momento che ci costringe a sfidare noi stessi e gli altri, e dal momento che, diciamocelo, come l'onestà... non conviene.
Voglio essere una persona trasparente; voglio rivelare invece di nascondere. Voglio coinvolgerti invece che distrarti; oppure lasciarmi ignorare. Spero di raccogliere il coraggio.





Audioslave - Be Yourself

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Intervento interessante...
allora, io penso che essere una persona "trasparente" contribuisca anche ad essere felici. Il problema non è che la "trasparenza" sia poco conveniente o scomoda come dite tu e Silvia...il problema,a mio avviso, è che non ci possiamo permettere di essere trasparenti con tutti e sempre...perchè viviamo in una società civile(o almeno dovrebbe essere tale xD), per quieto vivere nostro e degli altri!
Altra cosa: quoto gli ultimi 6 righi dell'intervento di Silvietta, ma il resto non so...da una parte mi trovo d'accordo dall'altra invece x niente...ci devo pensare 1 altro po'!
da una parte credo sia maggiormente degno di stima chi è consapevole di indossare "maschere" rispetto a chi non se ne rende manco conto...dall'altra quella persona mi lascia un po' di tristezza addosso, così come quelli che esagerano con le maschere,ci affogano dentro, e non lasciano trasparire quasi più niente di loro stessi...

PS voglio il nome del maestro di vita in 2'-3' media!! ki era??? voglio il nome!!!

Distinti saluti
Stè, il gregoriano

Anonimo ha detto...

Sapessi che dilemma è anche per me lo scontro Essere ed Apparire...
il conflitto con noi stessi diventa qualcosa di subdolo che ci porta ad odiarci e a far su ses tessi cose che non faremmo mai... e te lo dico perchè mi è successo. Io sono sempre stato uno dal vestirsi a come capita, col la prima pezza capitata sotto mano... poi accade qualcosa per la quale non sai come vuoi, o meglio senti che dovresti cambiare, imitando qualche stile più idoneo...
E perdi te stesso. Ti guardi allo specchio, ti dici che sei fico e poi non ti riconosci... inizia il conflitto.
Credo che il problema sia così antico e così intrinseco della persona stessa da rasentare la metafisica della mente umana.
Risposte concrete: nessuna.

Fabio.